Chi ha vissuto in questo mondo negli ultimi 20 anni sa bene chi sia Kobe Bryant. Ho usato il presente invece del passato perché le persone come lui non se ne vanno mai, rimangono leggenda nell’immaginario collettivo. Puoi amare o no il basket, ma Kobe Bryant prima o poi lo hai visto camminare nel vuoto con una palla in mano.
Lo sport ha perso un personaggio unico, un uomo che ha avuto la consapevolezza e l’intelligenza di capire quando smettere, di mettersi all’improvviso tutto alle spalle e pensare che la sua vita e soprattutto la sua famiglia venissero prima di ogni cosa.
Non andava più a vedere nemmeno i Lakers, capitava raramente, perché preferiva passare del tempo a casa con la sua famiglia, con le sue figlie.
Nessuno avrà mai la forza di dimenticare Kobe Bryant.
Ma se in tutto questo non troviamo uno spazio anche per gli altri su quel maledetto elicottero allora siamo noi a perdere il contatto con la realtà.
E’ vero, la notizia arrivata poco prima di Juve – Napoli ha sconvolto tutti a tal punto che ci siamo messi a fare zapping tra il 251 di Sky ed il 200 di Sky News per avere sempre più notizie, per negare a noi stessi quell’assurda notizia.
Passati 2 giorni però il rispetto verso gli altri su quell’elicottero va mantenuto e rinnovato.
Perché quel giorno oltre a Kobe Bryant e ad altri adulti se ne sono andate anche sua figlia Gianna, anche Alyssa Altobelli e anche Payton Chester.
Loro non erano glorie dello sport, non erano famose e nemmeno sapevamo esistessero sino a domenica sera.
Ma non possiamo non pensarci. Non possiamo non pensare che il rispetto verso una leggenda del basket non deve offuscare la morte prematura di 3 ragazze troppo giovani.
Gianna voleva diventare come il padre, giocare a basket, era la sua ossessione. Alyssa magari avrebbe voluto altro o forse lo stesso, ma magari aveva altri progetti, magari aveva programmi a lunga scadenza come é giusto che ogni giovane abbia a quell’età.
Magari Payton voleva diventare ben altro, magari aveva lasciato la sua cameretta in disordine per riassestarla alla sera, magari pensava che i compiti per lunedì li poteva fare al suo ritorno.
Magari questo parlarne troppo di Kobe Bryant sta mancando di rispetto a coloro che su quell’elicottero non erano nessuno, ma che ancora avevano una vita davanti per diventare qualcuno (famosi o meno chi se ne frega).
Magari lasciamo che la vita da sola possa essere sufficientemente crudele a volte e cominciamo ad avere rispetto per le tragedie nelle loro complessità.
Magari… chi lo sa, il silenzio é la forma di rispetto più grande, alla faccia del numero di lettori o del numero di copie vendute. Magari.
Kobe.. e gli altri su quell’elicottero

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